
La sveglia sopraggiunse come una fucilata nelle orecchie.
Il volo di ritorno era programmato con il solito orario non cristiano delle compagnie low cost. Poco male, quando sono in viaggio mi piace osservare la città che si stropiccia gli occhi. Camminare per le strade con i lampioni ancora accesi e i locali chiusi che odorano di fritto e birra, ha qualcosa di segreto. È come assistere di nascosto alla genesi del giorno.
Pochi passi separavano il mio hotel dalla fermata della metropolitana più vicina. Incrociai ragazzi con gli auricolari, addetti alle pulizie, due turisti già persi prima dell’alba.
Scendendo la scala di un sottopasso che sapeva di metallo umido e disinfettante, m’immersi nel ventre della città. Tra luci al neon tremolanti e senzatetto ancora avvolti dalle coperte, cercai i cartelli blu.
Eccoli: Linea U2 – Flughafen, direzione metro aeroporto, che è anche il capolinea.
Un treno era appena entrato. Le porte si stavano chiudendo, ma allungai il passo e infilai la carrozza giusto in tempo. Era quasi vuota. Due file più avanti c’era un tizio con lo zaino da trekking bardato come un alpinista pronto a scalare l’Everest, poco più in là una coppia che dormicchiava con le teste appoggiate l’uno all’altra.
Mi posizionai in piedi vicino alle porte, non mi andava di sfilarmi lo zaino per sedermi.
Solo sette fermate davanti a me, circa venti minuti. Controllai rapidamente lo smartphone per avere informazioni sull’apertura del gate.
Poi lo vidi.
Era salito all’ultimo momento, proprio nella mia carrozza. Un uomo sulla quarantina, barba lunga, pelle olivastra.
Indossava un cappello e un giubbotto troppo pesante per la stagione.
Aveva lo sguardo sgranato. Non riusciva a stare fermo.
Si sedette leggermente di traverso, come se volesse tenere d’occhio contemporaneamente le estremità della carrozza. La mano destra era ben infilata nella tasca del giubbotto.
Il braccio immobile, teso come una corda di violino.
Mi si gelò il sangue.
Fermata 1 Hauptbahnhof
Il treno si fermò con un sibilo. Il tipo deglutì a vuoto e si sporse in avanti, come per cercare qualcuno. Una vocina mi diceva di spostarmi nell’altra carrozza, ma le gambe sembravano inchiodate.
Mi obbligai a razionalizzare. Magari è solo agitato o ha fretta. Ma quella mano, sempre dentro la tasca… troppo rigida, troppo ferma.
Fermata 2 Wohrder Wiese
Lo guardai meglio. Il respiro corto, la pelle del viso imperlata di sudore. Con la mano libera tirò fuori il cellulare: vidi quella che mi sembrò essere una scrittura araba scorrere sullo schermo. Poi la mano tornò di scatto nella tasca.
Lì dentro cosa c’era? Una bomba? Un coltello?
Fermata 3 Rathenauplatz
Mi spostai leggermente per consentire l’ingresso a un piccolo gruppo di viaggiatori. Il tipo scattò in piedi, ma poi vide che si trattava di una famiglia con bambini ancora assonnati e tornò a sedersi più nervoso di prima.
Si guardava attorno come un animale in trappola, ma nessuno sembrava farci caso. Tranne me, tutti avevano i sensi ancora impigliati nel cuscino.
Feci l’errore di incrociare il suo sguardo solo per pochi secondi, ma al mio cervello parvero ore.
Fermata 4 Rennweg
Avevo la bocca secca. Iniziavo a sentire un ronzio nelle orecchie. Ogni secondo si allungava come un elastico tirato al limite.
E se avesse davvero qualcosa dentro quella tasca?
In quel momento pensai al peggio. A tutte le notizie, ai video di attentati che avevo visto circolare sui social. Non volevo pensarci, ma ormai avevo cliccato sul tasto play di un brutto film mentale.
Sì, aveva la carnagione mediorientale. Sì, era teso come una corda.
E sì, aveva la mano fissa in tasca. E allora? E allora niente, le mie paure non ragionano con la logica del politicamente corretto.
Maledetta immaginazione, non puoi farmi questo, proprio ora che stai tornando a casa. Non so cosa avrei dato per frustare il treno e farlo andare più veloce.
Fermata 5 Herrnhütte
Le porte si aprirono su una banchina deserta. Solo il riflesso intermittente di un neon che lampeggiava sopra un cartello inclinato.
Un soffio d’aria fredda entrò nella carrozza, portando con sé l’odore umido del cemento.
Nessuno salì. Nessuno scese.
Il treno rimase fermo qualche secondo in più, troppi in più per la mia voglia di scendere.
Lui era sempre tesissimo, potevo sentirlo respirare. Il vagone ripartì con un sussulto, e il suo respiro sembrò accelerare insieme al motore.
Per un attimo vidi il mio stesso riflesso nel vetro. Sembravo terrorizzata.
Fermata 6 Ziegelstein
Un annuncio gracchiò in tedesco: «Prossima fermata: Flughafen Aeroporto.» La tensione del tipo crebbe improvvisamente. Si sporse in avanti, iniziò a muovere impercettibilmente le labbra, come se recitasse qualcosa a mezza voce.
La mano nella tasca si contrasse.
Fu lì che caddi in preda al panico. Mi mossi di scatto, fingendo di stirarmi, e mi spostai qualche sedile più in là, lontana dalle porte. Lui mi seguì con gli occhi. Non si mosse, ma quel leggero sorriso nervoso che gli tremava sulle labbra mi pietrificò.
Fermata 7 Flughafen – il capolinea
Il treno rallentò, il suono metallico dei freni riempì la carrozza. Tutti iniziarono a raccogliere bagagli, a stiracchiarsi. Io ero pronta a scattare fuori.
L’uomo si alzò un secondo prima che le porte si aprissero. La mano era ancora lì dentro, come cucita alla tasca stessa.
Uscì quasi correndo.
Lo seguii a distanza con il cuore a mille. Attraversò il corridoio centrale della stazione con lo stesso passo svelto, ogni tanto voltandosi di scatto. Verso dove va? Cosa farà?
La vocina dentro mi diceva: rallenta, aspetta, non seguirlo. Non entrare ancora nel terminal!
Ma qualcosa, forse la paura, forse la curiosità, mi spinse a seguirlo e tenerlo d’occhio. Un po’ come quando da bambini eravamo terrorizzati dai film horror, ma stavamo ugualmente incollati allo schermo per vedere fin dove potevamo resistere.
Il tipo salì le scale mobili che portavano in superficie saltando i gradini a tre a tre. Poi girò l’angolo che portava verso i bus navetta. E lì, davanti a un piccolo chiosco, si fermò.
Tirò fuori la mano dalla tasca.
Non c’erano bombe, non c’erano coltelli.
Solo un rosario musulmano, le dita che lo stringevano fortissimo.
Fece un lungo sospiro e si inginocchiò a terra coprendosi il volto con le mani. Iniziò a pregare.
Mi girai di scatto e corsi verso l’area partenze con le gambe molli come gelatina.
Non saprò mai se quel giorno ho sfiorato la morte… o se lui l’abbia trattenuta tra le dita, insieme a quel rosario.
Oddio, che ansia! Ho avuto l’impressione di essere su quel vagone con te, e di vedere quell’uomo, pensando al peggio. E l’ansia aumentava a ogni fermata. Paura ingiustificata o istinto di sopravvivenza? Mi sa che non sapremo mai la risposta, e capisco benissimo la tua reazione. Io e il mio compagno non siamo stati così coraggiosi e siamo scesi da un treno, qualche anno fa: stavamo andando a Coney Island con la metro per immaginare la scena finale di The Warriors e, a un certo punto, sul nostro vagone è salito un tipo sospetto (o magari lo era ai nostri occhi). Non c’era nessun altro e forse ci siamo immaginati le scene del film. Senza neanche metterci d’accordo siamo scesi alla prima fermata e abbiamo preso il treno successivo
Ecco cosa significa avere il compagno di viaggio perfetto, che telepatia e che sincronia avete avuto! Mi vengono i brividi nel ripensare a questo episodio alla luce di ciò che è successo in queste ore a Londra… tutto sommato non siamo per nulla esagerate e visionarie a fare certi pensieri 😀 Che brutta cosa, lo ammetto senza vergogna: se fosse stato un caucasico forse non avrei avuto tutta quell’ansia. Voto per la seconda che hai detto e ti dirò di più, quando rincaso di sera ho preso il (brutto) vizio di posizionarmi 3 chiavi tra le nocche, come fossero degli artigli. Certo, non sortirà lo stesso effetto di Wolverine, ma la mia pellaccia – o pelliccia – l’avranno a caro prezzo hahahahaha 😛
Grazie per la lettura 🙂
Un thriller metropolitano all’alba, con la suspense di Hitchcock e la paranoia di chi ha dormito tre ore. Mi hai portato in viaggio nella mente della protagonista paranoica facendomi crescere l’ansia costantemente fino all’aeroporto, la fine del racconto dove la realtà si rivela più umana dei nostri pregiudizi.
Morale della favola? Mai sottovalutare il potere della mente alle 5 del mattino. E forse, ogni tanto, ricordarsi che non tutto ciò che ci spaventa è pericoloso. A volte è solo un uomo che prega. E noi, nel dubbio, ci facciamo un film intero… con colonna sonora e effetti speciali. Bravissima Dany
Grazie Fausto, sei troppo buono! Praticamente la tua sembra una di quelle fantastiche recensioni di un cinematic masterpiece hahahha 😀
A volte la mente – soprattutto come dici tu alle 5 del mattino – sa sceneggiare meglio dei maestri del brivido… se avessi dormito qualche ora in più è probabile che neanche l’avrei notato quel passeggero.
Ma la paura è umana e purtroppo negli ultimi anni abbiamo imparato a temere [anche] la gente che prega 😉
Grazie ancora 🙂