Cronache dal castello: l’agonia del nazismo raccontata dal press camp Faber-Castell di Norimberga

Faber-Castell Nuremberg

Ci sono castelli che sembrano essere usciti da un sogno, e poi scopri che hanno assistito al più crudo dei risvegli.

Norimberga, novembre 1945.
Il ticchettio delle Remington riecheggiava tra boiserie e soffitti affrescati, un metronomo ossessivo che batteva al tempo della storia.
Prima di allora quello era un suono estraneo ai saloni del castello, abituato alla musica dei ricevimenti, al vociare della servitù, alle conversazioni dei suoi nobili proprietari.
Ma nella Stunde Null, l’ora zero di un’Europa spezzata, quel suono scriveva di crimini che il mondo non dimenticherà mai più. Scriveva e urlava di sentenze.
E di giustizia (forse).

Lo Schloss Faber-Castell e il press camp del processo di Norimberga

Faber-Castell Norimberga

Mi trovo nella periferia di Norimberga, e quello che ho davanti è un castello elegante dalla silhouette neogotica con i giardini curatissimi.
Lo Schloss Faber-Castell è davvero incantevole, e ai miei occhi incarna l’ideale romantico dell’aristocrazia industriale tedesca dei secoli scorsi. Ma tra il 1945 e il 1946, questo bel maniero, sede della celebre dinastia di matite, si trasformò in un rifugio operativo per giornalisti in prima linea, anche se lontani dal fronte: un quartier generale stampa che fu una vera e propria trincea intellettuale.
Tra le sue torrette merlate si affilarono non spade, ma penne per raccontare al mondo l’evento giudiziario più importante del Novecento: il processo di Norimberga.

Norimberga – la bella Norimberga – che dopo la fine del conflitto si presentava completamente devastata dalle bombe, venne scelta come simbolico e potente teatro per processare i nazisti.
Gli Alleati (nella figura dell’onnipresente logistica statunitense) requisirono il castello per adibirlo a press camp: i grandi saloni di rappresentanza e i salotti dei conti Von Faber-Castell furono trasformati in una sorta di ufficio open space.
E ogni stanza divenne redazione, ogni corridoio camerata con decine di letti. Qui dentro si scriveva e si dormiva.
Mentre lì fuori, il mondo si svegliava.

Da castello di matite a fortezza delle parole: la vita al press camp Faber-Castell ai tempi del processo di Norimberga

Mai prima di allora si erano riuniti sotto lo stesso tetto così tanti corrispondenti, scrittori e fotoreporter. Oltre cento tra americani, britannici, francesi, russi: l’élite del giornalismo e della letteratura ospitata al castello Faber-Castell per raccontare gli orrori appresi dalla tribuna stampa dell’aula 600 del Palazzo di Giustizia di Norimberga. Tra loro penne illustri e pezzi da novanta quali Erika Mann (figlia di Thomas Mann) e anche giovani giornalisti e scrittori la cui fama sarebbe esplosa successivamente.

Molti rientravano ogni giorno al press camp con occhi lucidi e mani tremanti, impossibile battere a macchina.
Perché come si fa a raccontare Auschwitz tra le mura di un castello da fiaba? Non è difficile immaginare l’assurdo contrasto tra l’orrore dei contenuti e la bellezza della cornice. Eppure, i giornalisti che parteciparono a questa sorta di embrionale reality show, ebbero l’onore e l’onere di catapultare il mondo intero in quell’aula di tribunale.

Otto, dieci giornalisti per stanza, non un solo angolo dello Schloss in cui poter stare da soli. Me l’immagino battere a macchina freneticamente su scrivanie disordinate, accompagnati da caraffe di caffè americano e montagne di cenere di sigaretta.

I giornalisti lasciavano il Palazzo di Giustizia di Norimberga alle 17:00, dopodiché rientravano allo Schloss per scrivere: chi diari, chi articoli, chi reportage, chi addirittura romanzi. Il pasto serale veniva condiviso nel salone da ballo. Non mancavano occasioni per fare vita sociale e divertirsi giocando a scacchi, a ping-pong e a guardare film di Hollywood in una sala cinema allestita appositamente per loro dagli americani.
E poi feste e fiumi di whisky…

Il processo più importante (e più giusto?) del Novecento

Castello Faber-Castell Norimberga

Quello di Norimberga è stato il primo processo mediatico mondiale: dirette, traduzioni simultanee, il primo dotato di tecnologie all’avanguardia. E il primo al quale si doveva moralmente e obbligatoriamente aderire al giudizio della giustizia. Sul banco degli imputati c’erano infatti diavoli come Göring, Ribbentrop, Kaltenbrunnen, Hess, Albert Speer l’architetto del Führer.

In questo contesto mi domando quanto fu giusto anche il ruolo dell’informazione. Alla luce dei pregiudizi e delle censure subite dai cronisti tedeschi, quale fu realmente la capacità morale di trascrivere i fatti?
Certo, l’orrore era evidente, e i colpevoli anche. Ma la cronaca dell’epoca ci restituisce un press camp in cui alle Remington si affiancavano fiumi di alcol, serate festaiole, complotti a caccia di scoop, relazioni sentimentali tra croniste e giudici. E addirittura, “per noia” (cit.), scommesse clandestine sulle condanne.
Quante possibilità c’erano di sbagliare lettura & scrittura?

Perché ricordiamolo, la storia passa dalle persone, dai giornalisti che spesso (come in questo caso) scrissero con l’inchiostro contaminato da ideologie, nevrosi e stress. Dopo l’orrore ascoltato nell’aula 600, nel press camp Faber-Castell si consumava un’altra inquietudine, non meno logorante dei video scioccanti sulla Shoah: cercare di raccontare mantenendo un equilibrio tra vendetta e giustizia. Che poi quale giustizia? Non esisteva ancora un quadro normativo specifico.

Gli inglesi spingevano per la corte marziale. Invece gli americani – esportatori seriali di democrazia – optarono per un vero e proprio processo, arrivando a formulare sul momento il concetto di “crimini contro l’umanità” rendendolo comodamente retroattivo (!!). Ma può davvero un tribunale di vincitori giudicare equamente i vinti?
Da più parti, e dallo stesso press camp, si sollevarono dubbi.
La giustizia giusta sembrava infatti latitare anche allo Schloss Faber-Castell. Della vile censura subita dai giornalisti tedeschi ho già detto, ma anche i giornalisti russi, tenuti separati dal resto delle illustri penne, subirono limitazioni e supervisioni rigorose da santa madre Russia.

Le sentenze, emesse nell’ottobre del ’46, sancirono ergastoli e condanne a morte. Accanto ai documenti ufficiali, ai filmati, alle corrispondenze dei giornalisti del press camp, agli atti restano anche due consapevolezze: la prima è che il processo di Norimberga trasformò profondamente il giornalismo, inaugurando una nuova stagione del reportage.
La seconda, più amara, è l’ombra che il tempo ha gettato sulla giustizia stessa. Fu davvero imparziale quella esercitata dai vincitori? Perché Dresda o Hiroshima non ebbero mai un’aula di tribunale, né una sentenza?
Alla luce di tutto questo, il press camp Faber-Castell fu davvero un avamposto morale?

È domenica e lo Schloss è chiuso ai visitatori, non posso fare altro che fotografarlo dall’esterno. Tutto tace, ma da qui sembra quasi di sentirlo quel rumore. È lei, è la verità che sta battendo – o almeno ci sta provando – a macchina.
Ma la giuria ha già lasciato l’aula.

Faber-Castell: come arrivare

Faber Castell Press Camp Nuremberg

Arrivare al Faber-Castell da Norimberga è semplice.
Dalla stazione centrale Nuremberg Hauptbahnhof, ubicata poco oltre le mura della Old Town, basta prendere la metropolitana della linea U2 e scendere a Röthenbach, che è anche il capolinea. Da lì, una passeggiata di 800 metri vi condurrà al cospetto del castello e dell’adiacente shop delle famose matite.

La corsa singola costa 3,47 Euro, ma è gratuita se siete in possesso della Nuremberg Card, che in più vi darà diritto a uno sconto sull’ingresso al castello.
Tutte le informazioni per prenotare una visita guidata del castello, del museo e della fabbrica di matite Faber-Castell, le trovate sul sito ufficiale.
Andateci perché ne vale la pena.
Inoltre consiglio un valida lettura di approfondimento con “Il castello degli scrittori. Norimberga 1946 cronache dall’abisso” di Uwe Neumahr.

Special thanks to Nürnberg Tourismus

Faber Castell shop experience Nuremberg

orsanelcarro

Daniela, per gli amici Orsa. Per i nemici destrOrsa. Amo esplorare edifici abbandonati e omaggiare monumenti e memoriali di guerra.

Questo articolo ha un commento

  1. Non sapevo dell’esistenza di questo castello, né sapevo che fosse stato adibito a press camp. Insomma, era un capitolo di quella parte di storia che ignoravo completamente. Curioso il legame tra le matite e il fatto che sia stato adibito alla scrittura di resoconti: sarà stato casuale o voluto? Immagino la difficoltà per tutti quei giornalisti e quei reporter: sentir raccontare gli orrori commessi deve essere stato traumatico. Allo stesso tempo però fanno riflettere le tue domande sull’equilibrio tra vendetta e giustizia e dall’influenza di ideologie, nevrosi e stress.

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