Racconti di guerra in tempi di guerra: L’inaffondabile Sam

L'inaffondabile Sam

Fummo cannoneggiati senza pietà nel bel mezzo della formazione nemica, oltre 300 colpi e ancora galleggiavamo arditamente.
Ma per quanto io amassi la Bismarck, non desideravo seguirla nella sua tomba marina.
Il capitano, risoluto a non consegnarla ai britannici, ordinò a tutto l’equipaggio di provocare l’autoaffondamento. In 2000 ci gettammo in mare per assistere alla morte della nostra nave.
Nuotammo disperatamente per evitare il risucchio, ma fummo travolti dalle onde propagate dal boato delle caldaie. Quando riemersi, l’immensa corazzata era piegata su un lato, poi si impennò con la poppa dritta verso il cielo, le eliche ancora in moto e la bandiera di guerra issata sul pennone.
Lentamente, scivolando, sprofondò in mare. Eccolo, l’orgoglio del Terzo Reich dissolto in una grande macchia di nafta. Era il 27 maggio, e quello fu il mio battesimo del fuoco.

Conclusa la battaglia, iniziò l’odissea per noi naufraghi. Gli incrociatori britannici ci puntarono alla stregua di un predatore che circonda le proprie prede immobili e sfinite dalle fredde acque dell’Atlantico. Inzuppato e aggrappato a un’asse di fortuna, ascoltai con angoscia e disappunto le urla dei disperati che invocavano i soccorsi inglesi. L’obiettivo era: prigionieri, ma vivi.
Venne il mio turno, dalla HMS Cossack qualcuno lanciò una cima che mi colpì sulla testa. Mi avvinghiai con le unghie e fui tirato lentamente in coperta dove la forza che mi aveva sorretto diverse ore in mare, venne improvvisamente a mancare. E vennero meno anche la voce, gli arti, i sensi.
Il mio nome era Sam, marinaio al servizio della Kriegsmarine, ma quando riaprii gli occhi avevo una nuova vita e un nuovo nome.

Uomo in mare!

Nel Codice dei Segnali Marittimi, Oscar è il vessillo che viene issato per indicare un “uomo in mare”. Oscar. È così che mi ribattezzarono gli inglesi.
Fui ufficialmente adottato dalla Royal Navy e, nei mesi successivi al mio salvataggio, prestai servizio a bordo della HMS Cossack.
Era ottobre quando fummo incaricati di scortare un convoglio diretto nel Regno Unito. Incrociavamo tranquilli a 100 miglia ad ovest al largo di Gibilterra, ma tutti avevamo il sentore che stesse per accadere qualcosa di brutto. E qualcosa di brutto accadde.

Non sono in grado di descrivere a parole il rumore dell’acciaio che stride e cozza contro altro acciaio. Le luci si spensero, le macchine tacquero. Mi trovavo in cambusa nella totale oscurità, ma udivo distintamente le grida dei feriti venire dai corridoi. Tentai di raggiungerli, ma finii intrappolato in qualcosa di morbido e caldo. Era il ventre sfondato di un marinaio.
Mi liberai dalla macabra trappola e, quando la luce tornò per un attimo, vidi l’inferno. Molti dei feriti avevano gli arti maciullati, altri i volti irriconoscibili. I più fortunati erano morti sul colpo.
Maledizione, capii che era la fine. Dai ponti inferiori udii le grida dei disgraziati rimasti prigionieri tra le lamiere contorte. Dagli squarci il fumo nero usciva invitando l’acqua prepotente dell’oceano a entrare. La situazione era disperata, fu dato l’ordine di abbandonare la nave. L’intera sezione prodiera della Cossack fu spazzata via, insieme a 159 membri dell’equipaggio, dall’unico siluro lanciato dal sommergibile tedesco U-563.
Mi ritrovai di nuovo in acqua aggrappato a un rottame galleggiante, e per la seconda volta in pochi mesi, vidi una nave da guerra sparire negli abissi.

Il moto ondoso dell’Atlantico, aizzato dal peggioramento delle condizioni atmosferiche, per molte ore impedì alle unità di soccorso di recuperarci. Ma io strinsi i denti sotto i baffi inzuppati, non ero nato per morire in un oceano infuriato e ostile, non è una morte da eroi, quella.
Attorno a me altre zattere di fortuna colme di disperati alle prese con le loro personali battaglie contro la morte.
Fu tragica, ma è quando calò il sole che si consumò il dramma.
I feriti cominciarono a essere azzannati dai pescecani, ospiti sgraditi di un festino raccapricciante.
Ho ancora vivissimo il ricordo di un marinaio morto: le onde mi avvicinarono al suo corpo che galleggiava come un turacciolo. Le braccia allargate come a voler chiedere aiuto al cielo. A decine le sarde si cibavano freneticamente delle carni sul suo petto nudo.
Decisi in quell’istante di non mangiare mai più sardine, né fresche di pesca, né in scatola. Fu il colpo di grazia per il mio raziocinio, ma prima di perdere completamente i sensi, feci in tempo a udire la sirena di una nave.

Rinvenni in un ambiente familiare, eppure mai visto prima. Ero in salvo, a bordo del cacciatorpediniere HMS Legion.
Fui scortato sul Continente, a Gibilterra, dove assaporai finalmente il piacere di un letto asciutto.
Ma il mio soggiorno non durò a lungo, la Marina britannica aveva ancora bisogno dei miei servizi. Mi ritrovai nuovamente per mare, questa volta a bordo della portaerei HMS Ark Royal.

Fortuna o maledizione?

Beffardo il mio destino. La Cossack, la Legion, e adesso la Ark Royal, le navi che presero parte all’affondamento della Bismarck. Ma la vita è come la guerra: tattiche e strategie non proteggono da bordate imprevedibili. Nel novembre del 1941, un mese dopo l’affondamento della Cossack, la portaerei sulla quale mi trovavo venne silurata dal sommergibile tedesco U-81.
Tuttavia le fredde acque novembrine dell’Atlantico quella volta non assaggiarono carne umana, ma soltanto lamiere. Nonostante l’enorme falla, il gigante s’inabissò con tale lentezza che fu consentito il trasbordo di tutto l’equipaggio sulle unità venute in soccorso.
Sopravvissi a tre battaglie e a tre naufragi, ma quella fu l’ultima volta che vidi il ponte di una nave.
Fui trasferito sulla terraferma, al servizio di Sir John Standish Vereker, Governatore di Gibilterra.
In vecchiaia, diversi anni dopo, fui mandato in un istituto per marinai a Belfast, dove nel 1955 spensi serenamente l’ultima delle mie nove vite di gatto.

Non sono molti i testi che tributano la storia di questo micio bianco e nero dall’esistenza incredibilmente avventurosa. Arruolato come cacciatore di topi a bordo delle corazzate, Sam/Oscar sopravvisse miracolosamente a ben tre naufragi. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la sua carriera terminò presso l’House for Sailors di Belfast, casa di riposo per capitani di lungo corso, dove morì entrando nella leggenda come l’Inaffondabile Sam.

L’Inaffondabile Sam è un mio racconto pubblicato nell’antologia di storie di guerra curata da Altaforte Edizioni.

Copertina Cantastorie Altaforte Edizioni

orsanelcarro

Daniela, per gli amici Orsa. Per i nemici destrOrsa. Amo esplorare edifici abbandonati e omaggiare monumenti e memoriali di guerra.

Questo articolo ha 6 commenti

  1. Applauso da dieci minuti con standing ovation! Ho avuto l’impressione di essere in un romanzo di Ken Follett. Ti confesso di non aver pensato subito a un gatto, e il sospetto l’ho avuto solo alla menzione delle sardine, anche se in effetti la foto di copertina avrebbe dovuto portarmi sulla buona strada. Complimenti davvero per aver raccontato questa avventura in maniera magistrale e per avermi tenuta incollata allo schermo!

    1. orsanelcarro

      Troppo buona Silvia, grazie mille! 🙂
      La storia di Sam/Oscar è reale, ed è davvero incredibile che questo marinaio speciale si sia trovato inconsapevolmente a servire due Paesi nemici. La Disney invece di pensare a rimaneggiare le vecchie pellicole per renderle “politically correct” dovrebbe guardare a nuove storie producendo ad esempio l’adattamento cinematografico delle vicende di Sam.
      Grazie ancora per la lettura 😀

  2. Complimenti Daniela, una bella soddisfazione! Leggendo il tuo racconto mi ritornano alla mente le storie di guerre e affondamenti che ho appreso grazie alle tante immersioni subacquee fatte sui relitti che giacciono lungo la costa calabra. Certo, nessuna faceva menzione di un eroe simile al tuo  Un eroe sopravvissuto a tre affondamenti! Portava sicuramente bene. Brava Dany

    1. orsanelcarro

      Grazie mille Fausto. È vero, di immersioni sui relitti ne hai fatte tante, potresti curare una rubrica per il blog sulle storie di ogni singolo relitto.
      Il micione portava bene, ma qualcuno ha osato dire che portava anche male proprio per i tre affondamenti 😛
      Nei giorni scorsi ho letto con molta attenzione i tuoi suggerimenti sulla Romania… mi sono stati utili! 😉
      A presto e grazie ancora! 🙂

        1. orsanelcarro

          Assolutamente sì! Attraversare i villaggi immergendosi nel folclore rumeno a bordo di El Andador sarebbe proprio epico! 🙂

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